Deontologia professionale Psicologica. Il Dilemma del Segreto: Quando Si Può (e Si Deve) Parlare
Un tribunale chiede una relazione. Un servizio sociale richiede informazioni. Le forze dell'ordine vogliono sapere. E nel mezzo c'è una persona che si è fidata, che ha raccontato la propria storia confidando nella riservatezza. Come si bilancia il diritto al segreto con il dovere di collaborare con l'autorità? Quando si può parlare? E quando si parla, cosa si può dire? Sono dilemmi che riguardano tutti i professionisti che lavorano con persone vulnerabili, ma che assumono una rilevanza particolare quando si tratta di supportare persone sopravvissute alla violenza di genere. Perché in questi casi, ogni parola detta alla persona sbagliata può mettere a rischio la sicurezza di chi ha avuto il coraggio di parlare.
Francesco Gardona
12/2/20257 min leggere
Due Tipi di Relazioni: Al Cliente o a Terzi
Quando si parla di "relazione" in ambito professionale, bisogna innanzitutto distinguere tra due situazioni radicalmente diverse. Una cosa è redigere una relazione richiesta dal destinatario della prestazione professionale – la persona che si è assistita, che ha diritto di conoscere il lavoro svolto, le osservazioni fatte, le conclusioni raggiunte.
Tutt'altra cosa è redigere una relazione richiesta da soggetti terzi rispetto al rapporto professionale – un tribunale, un servizio sociale, le forze dell'ordine, un'altra istituzione. In questo secondo caso, si sta in pratica consentendo a qualcuno di interferire con il rapporto professionale, di venire a conoscenza di fatti, notizie e informazioni che appartengono alla sfera privata della persona assistita.
E questa interferenza, come regola generale, non è ammessa dal nostro ordinamento in virtù dei diritti al segreto professionale e alla riservatezza dei dati personali. Questa regola vale non solo se la richiesta proviene da soggetti terzi privati, ma anche da soggetti terzi pubblici – incluse le autorità.
Il Fondamento del Diritto alla Riservatezza
Il diritto alla riservatezza trova fondamento a più livelli normativi. L'articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo stabilisce che ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, e che non può esservi ingerenza di un'autorità pubblica in tale diritto a meno che sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria in una società democratica per tutelare interessi superiori.
L'articolo 2 della Costituzione Italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Il concetto di diritto alla riservatezza contempla e contiene ogni forma di riconoscimento dell'inviolabilità della sfera privata di ogni singolo individuo.
Nel nostro ordinamento, la riservatezza ha trovato regolamentazione normativa specifica in materie come il trattamento dei dati personali e, prima ancora, il segreto professionale.
Il Segreto Professionale: Tutela della Fiducia
Volendo proporre una definizione etica del segreto professionale, si potrebbe dire che è la tutela della persona e del suo diritto alla salute attraverso la rigorosa custodia di tutto quanto appreso in virtù della relazione di fiducia instauratasi.
Ma questa definizione solleva domande cruciali. Quando si instaura la relazione di fiducia? Basta un colloquio? E se a quel colloquio partecipa anche un familiare, anche lui è coperto dal segreto? E quando cessa la relazione di fiducia? Quando un rapporto professionale può dirsi "concluso", specialmente se ha avuto ad oggetto una prestazione di natura psicologica o di supporto profondo?
Il Codice Deontologico degli Psicologi italiani – ma principi simili valgono per altre professioni d'aiuto – offre risposte chiare. L'articolo 4 stabilisce che nell'esercizio della professione si deve rispettare la dignità, il diritto alla riservatezza, all'autodeterminazione e all'autonomia di coloro che si avvalgono delle prestazioni.
L'articolo 11 è ancora più esplicito: si è strettamente tenuti al segreto professionale. Non si rivelano notizie, fatti o informazioni appresi in ragione del rapporto professionale, né si informa circa le prestazioni effettuate o programmate, a meno che non ricorrano specifiche eccezioni.
E anche il Codice Penale tutela il segreto professionale. L'articolo 622 punisce chiunque, avendo notizie per ragione della propria professione di un segreto, lo rivela senza giusta causa, se dal fatto può derivare un nocumento.
Il Nodo: Violazione o Giusta Deroga?
Ed è qui che emerge il dilemma. Quando rivelare un segreto è violazione e quando è giusta deroga? La differenza è sostanziale.
Si ha violazione quando un comportamento si pone in contrasto con una norma di legge. Si ha deroga quando un comportamento si pone in contrasto con una norma di legge, ma un'altra norma, in determinate circostanze, lo impone o lo consente.
Un esempio paradigmatico aiuta a chiarire. Il Codice Penale punisce l'omicidio. Ma lo stesso Codice prevede la legittima difesa: non è punibile chi ha commesso un fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta.
In entrambi i casi – violazione e deroga – vi è un contrasto tra diversi beni tutelati. La differenza sostanziale sta nella modalità di risoluzione di tale contrasto. Quando la legge stessa prevede che in certe circostanze un bene debba prevalere sull'altro, si ha deroga legittima.
Applicato al segreto professionale: quando si è di fronte a due comportamenti entrambi giusti ma tra loro in contrasto – mantenere il segreto professionale o rispondere a una richiesta di informazioni – quale si deve tenere? E se la deroga al segreto è legittima, fino a che punto si può sacrificare la riservatezza?
Le Ipotesi di Deroga Legittima
Le ipotesi in cui il segreto professionale può essere legittimamente derogato sono essenzialmente tre: il consenso dell'avente diritto, l'adempimento di un dovere, lo stato di necessità.
Il Consenso dell'Avente Diritto
L'articolo 50 del Codice Penale esclude la punibilità di chi lede un diritto col consenso della persona che può validamente disporne. Applicato al segreto professionale: se la persona assistita consente validamente che certe informazioni vengano condivise con terzi, il segreto può essere derogato.
Ma attenzione: il consenso deve essere valido. Deve essere informato – la persona deve sapere esattamente quali informazioni verranno condivise, con chi, per quale scopo. Deve essere libero – non può essere estorto, manipolato, ottenuto sotto pressione. E deve riguardare un diritto disponibile – ci sono alcuni diritti così fondamentali che nemmeno il loro titolare può rinunciarvi completamente.
Nel contesto del supporto a persone sopravvissute a violenza, ottenere un consenso veramente libero e informato è particolarmente delicato. La persona potrebbe sentirsi obbligata a dare il consenso per paura di perdere l'accesso ai servizi. Potrebbe non comprendere pienamente le conseguenze di autorizzare la condivisione di certe informazioni.
L'Adempimento di un Dovere
L'articolo 51 del Codice Penale stabilisce che l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità.
Esistono casi in cui la legge impone di riferire certe informazioni, anche se coperte da segreto professionale. Per esempio, l'obbligo di segnalazione in caso di sospetto abuso su minori. In questi casi, il segreto professionale deve cedere di fronte a un dovere superiore di protezione.
Ma anche qui ci sono limiti. L'ordine dell'autorità deve essere legittimo. E anche quando lo è, si deve riferire solo ciò che è strettamente necessario per l'adempimento del dovere, non tutto ciò che si sa.
Lo Stato di Necessità
L'articolo 54 del Codice Penale prevede che non sia punibile chi ha commesso un fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Applicato al segreto professionale: se rivelare certe informazioni è l'unico modo per evitare un danno grave e imminente a qualcuno, il segreto può essere derogato. Ma devono ricorrere condizioni precise: il pericolo deve essere attuale (non ipotetico o futuro), grave, non altrimenti evitabile, e la rivelazione deve essere proporzionata.
Quando Si Può Parlare: Ma Cosa Si Dice?
Ma una volta stabilito che in un caso specifico il segreto professionale può essere legittimamente derogato, si apre la seconda grande questione: cosa si deve scrivere nella relazione? Cosa si può scrivere?
Il principio generale è l'obbligo di verità. Ma cos'è la "verità" quando si redige una relazione professionale?
La teoria classica definisce la verità come corrispondenza tra un enunciato e la realtà empirica. Ma come si stabilisce questa corrispondenza? Quando l'enunciato è descrittivo – "il signor X ha riferito di aver subito un'aggressione il giorno Y" – la verità può essere misurata sulla base dell'aderenza a fatti empirici.
Ma quando l'enunciato è valutativo – "il signor X presenta segni compatibili con un disturbo post-traumatico da stress" – la verità si misura sulla correttezza del ragionamento interpretativo.
Occorre quindi sempre tenere bene a mente la differenza tra relazionare un fatto storico (cosa ha detto la persona, cosa si è osservato) e relazionare un parere esperto (cosa si ritiene sulla base della propria competenza professionale).
Il Principio di Idoneità e Proporzionalità
Una relazione, per essere legittima ed efficace, deve rispettare il principio dell'idoneità a raggiungere il proprio scopo. Deve contenere: autore (intestazione e firma), destinatario chiaramente identificato, motivazione della relazione, enunciati descrittivi necessari, enunciati valutativi solo se essenziali e nella misura strettamente necessaria, data.
E deve rispettare criteri di proporzionalità (adeguatezza dei mezzi impiegati al fine voluto), ragionevolezza (accurato bilanciamento di interessi), coerenza (in relazione al caso concreto).
In pratica: non si scrive tutto ciò che si sa, ma solo ciò che è strettamente necessario per lo scopo della relazione. Non si fanno valutazioni che vadano oltre quanto richiesto. Non si includono dettagli irrilevanti che potrebbero esporre la persona a rischi ulteriori.
Due Situazioni Diverse: Segnalazione e Testimonianza
Bisogna distinguere tra due situazioni: la "relazione-segnalazione" che attiva un processo (per esempio, una segnalazione ai servizi sociali o all'autorità giudiziaria che apre un procedimento) e la "relazione-testimonianza" che interviene in un processo già iniziato (quando si è chiamati a fornire informazioni in un procedimento avviato da altri).
Nel primo caso, si ha una responsabilità particolare: quella relazione potrebbe innescare conseguenze significative per la persona. Deve essere quindi particolarmente ponderata, basata su elementi solidi, redatta con estrema cautela.
Nel secondo caso, si è vincolati dalle domande che vengono poste e dallo scopo del procedimento. Si deve rispondere in modo veritiero, ma sempre nel rispetto del principio di proporzionalità: solo ciò che è rilevante per il procedimento, solo nella misura necessaria.
Conclusione: Il Peso della Parola Scritta
Redigere una relazione che deroghi al segreto professionale non è un atto tecnico neutro. È un atto che può avere conseguenze profonde sulla vita della persona di cui si scrive. Per questo richiede competenza tecnica, consapevolezza etica, rigore deontologico.
Non si può scrivere con leggerezza. Non si può condividere informazioni per compiacere l'autorità richiedente. Non si può sacrificare la riservatezza oltre quanto strettamente necessario e legittimo.
Perché il segreto professionale non è un privilegio di chi lavora nelle professioni d'aiuto. È un diritto della persona assistita. E quando lo si deroga, anche legittimamente, si sta compiendo un atto di grande responsabilità che richiede di pesare ogni parola, di valutare ogni conseguenza, di mantenere sempre al centro la tutela e la dignità della persona.
Per i professionisti: come si bilancia nella pratica quotidiana il dovere di riservatezza con le richieste di informazioni da parte di autorità e istituzioni? Quali criteri guidano le decisioni su cosa scrivere e cosa omettere?
Bibliografia
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Codice Penale Italiano. Artt. 50, 51, 54, 622.
Costituzione della Repubblica Italiana. Art. 2.
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Art. 8.
Leardini, E. Prendersi cura della professione: deontologia, aspetti legali e riflessioni di metodo. CNOP.
Taruffo, M. (2009). La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti. Laterza.
