I Quattro Pilastri del Supporto: Come Assistere le Persone Sopravvissute alla Violenza di Genere

La violenza di genere è esacerbata dalle emergenze. La pandemia COVID-19 lo ha dimostrato drammaticamente. E sulle rotte migratorie di tutto il mondo, questo fenomeno è particolarmente diffuso. Chi lavora nei servizi di assistenza per migranti e rifugiati si trova quindi frequentemente a dover gestire il racconto di un vissuto di violenza. Ma come farlo nel modo giusto? Come supportare senza danneggiare ulteriormente?La risposta si trova in quattro principi guida fondamentali che dovrebbero orientare ogni azione e decisione di chi si trova a interagire con persone sopravvissute alla violenza di genere: sicurezza, riservatezza, rispetto e non discriminazione. Questi quattro pilastri sono alla base di quello che viene chiamato approccio incentrato sulla persona sopravvissuta.

Francesco Gardona

11/19/20257 min leggere

person holding babys hand
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L'Approccio Incentrato sulla Persona Sopravvissuta

Prima di esplorare i quattro principi nel dettaglio, è importante comprendere la filosofia che li accomuna. L'approccio incentrato sulla persona sopravvissuta implica che l'intervento di supporto sia focalizzato sulla centralità dei diritti, bisogni, desideri e decisioni di ogni persona sopravvissuta.

Non si tratta di "salvare" qualcuno, di decidere per quella persona cosa sia meglio per lei, di imporre percorsi prestabiliti. Si tratta di creare un ambiente favorevole che promuova la sua autonomia e il suo empowerment – letteralmente, il suo "riappropriarsi del potere" che la violenza aveva cercato di toglierle.

E ogni azione deve essere guidata dal principio del non arrecare danno: adottare tutte le misure necessarie per evitare di danneggiare le persone come risultato delle proprie azioni o omissioni. Perché un intervento ben intenzionato ma mal condotto può causare danni ulteriori, a volte gravi quanto la violenza originaria.

Il Primo Pilastro: Sicurezza

Mettere in pratica il principio della sicurezza significa porre in atto le azioni necessarie ad evitare che la persona sopravvissuta, i suoi figli, familiari o altre persone che l'hanno assistita subiscano ulteriori atti dannosi.

Il pericolo può venire da diverse direzioni: dagli stessi autori della violenza, da persone che proteggono quegli autori, dai membri della stessa famiglia o comunità della persona sopravvissuta. La violenza di genere raramente avviene in un vuoto sociale – spesso è sostenuta da reti di complicità, silenzi, protezioni.

Nella pratica, garantire la sicurezza significa prestare attenzione a dettagli che possono sembrare banali ma sono cruciali. Per esempio, identificare un luogo sicuro dove parlare con la persona: non in uno spazio aperto dove altri possano ascoltare, non in presenza di familiari o membri della comunità che potrebbero riferire all'autore della violenza, non in luoghi dove la persona potrebbe essere vista e successivamente interrogata su cosa stesse facendo lì.

Quando si supporta una persona da remoto – attraverso telefonate o messaggi – diventa ancora più importante assicurarsi di contattarla secondo tempistiche e modalità che non la espongano a ulteriori pericoli. Chiamare quando il partner violento è in casa potrebbe metterla in pericolo immediato. Inviare messaggi che potrebbero essere letti da altri potrebbe compromettere la sua sicurezza.

La sicurezza non è un concetto astratto. È concreta, pratica, e richiede una costante valutazione del contesto specifico di ogni persona.

Il Secondo Pilastro: Riservatezza

Il principio della riservatezza riflette una convinzione fondamentale: le persone hanno il diritto di scegliere se, quando e a chi raccontare la propria storia.

La violenza è già una violazione profonda dell'autonomia personale. L'intervento di supporto non deve aggiungere un'ulteriore violazione forzando la divulgazione o condividendo informazioni senza consenso. Mettere in pratica il principio di riservatezza significa astenersi dal divulgare qualsiasi informazione senza il consenso informato della persona interessata.

Il consenso informato è l'adesione consapevole a un percorso proposto da parte di una persona che ha la capacità e la maturità di comprendere e usufruire di un servizio. Non è un semplice "sì" affrettato. È una decisione presa con piena comprensione delle implicazioni, dei rischi, delle alternative.

Praticamente, questo significa raccogliere e archiviare solo le informazioni necessarie, nel rispetto della privacy e con modalità sicure. Non ogni dettaglio della violenza subita deve essere documentato. Solo ciò che è effettivamente rilevante per fornire il supporto appropriato.

Quando è necessario inviare informazioni ad altri servizi, si deve acquisire il consenso informato della persona assistita prima di procedere. E quel consenso deve essere specifico: non un generico "do il permesso di condividere le mie informazioni", ma "do il permesso di condividere queste specifiche informazioni con questo specifico servizio per questo specifico scopo".

Esistono però eccezioni al principio di riservatezza, e queste devono essere chiaramente comunicate a ogni persona supportata fin dall'inizio. Le eccezioni includono situazioni in cui vi è minaccia di danno a un minore, pericolo di vita immediato per la persona sopravvissuta o altri, situazioni in cui la persona potrebbe nuocere a se stessa, casi di sfruttamento o abuso sessuale da parte del personale umanitario.

Queste eccezioni esistono per proteggere vite, ma devono essere applicate con estrema cautela e sempre nel modo meno invasivo possibile.

Il Terzo Pilastro: Rispetto

Mettere in pratica il principio del rispetto significa che tutte le azioni intraprese devono essere guidate dalle scelte e dai desideri della persona sopravvissuta, la quale deve avere il controllo del percorso intrapreso.

Questo è forse il principio più difficile da applicare, perché richiede di resistere alla tentazione di "sapere cosa è meglio" per qualcun altro. Chi lavora nei servizi di supporto ha competenze, esperienza, conoscenza dei rischi. Ma la persona sopravvissuta è l'unica vera esperta della propria vita, della propria situazione, dei propri vincoli e possibilità.

La persona sopravvissuta deve poter prendere autonomamente le decisioni relative all'accesso ai servizi, una volta ricevute tutte le informazioni necessarie. E questo include la decisione di non accedere affatto, o di rimandare, o di procedere con modalità diverse da quelle che chi supporta riterrebbe ottimali.

È importante comunicare chiaramente che potrà decidere di accedere ai servizi di supporto liberamente anche in un secondo momento. Non c'è una finestra temporale ristretta oltre la quale "è troppo tardi". Il supporto dovrebbe essere disponibile quando la persona è pronta, non quando è conveniente per il sistema dei servizi.

Questo richiede un profondo cambio di prospettiva: da "io ti salvo" a "io ti accompagno nel tuo percorso, rispettando i tuoi tempi e le tue scelte, anche quando non coincidono con ciò che io riterrei migliore".

Il Quarto Pilastro: Non Discriminazione

Il principio di non discriminazione prevede che ogni persona sopravvissuta alla violenza di genere abbia diritto di ricevere un trattamento equo indipendentemente da età, sesso, orientamento sessuale, identità di genere, etnia, religione, nazionalità, disabilità o qualsiasi altra caratteristica.

Può sembrare ovvio, ma nella pratica questo principio è spesso violato, anche inconsapevolmente. Pregiudizi impliciti, stereotipi culturali, norme sociali internalizzate possono portare a trattare diversamente persone in base a chi sono o da dove vengono.

Mettere in pratica questo principio significa, per esempio, assicurarsi che i servizi siano accessibili a persone che parlano un'altra lingua, prevedendo quando necessario la presenza di mediatrici o mediatori linguistici culturali. Non si può fornire supporto adeguato se non c'è comprensione reciproca.

Ma l'accessibilità linguistica è solo l'inizio. Bisogna considerare anche accessibilità fisica per persone con disabilità, sensibilità culturale per comprendere come la violenza di genere sia vissuta e concettualizzata in contesti culturali diversi, competenza specifica per lavorare con minori, con persone LGBTI, con persone anziane.

La non discriminazione non significa trattare tutti esattamente allo stesso modo. Significa adattare le modalità di intervento a ogni persona, tenendo in considerazione il genere, l'età, la lingua, la cultura, le esigenze specifiche. Significa equità, non uniformità.

Il Primo Soccorso Psicologico: Sapere Cosa Fare

Oltre ai quattro principi guida, chi si trova a supportare persone sopravvissute deve avere competenze pratiche. L'approccio del primo soccorso psicologico prevede un supporto empatico e pratico alle persone colpite da eventi critici.

Nasce dall'esigenza di dare una risposta immediata, strutturata e coordinata al disagio socio-psicologico che deriva da situazioni indefinite ed emergenziali. È applicabile sia su larga scala che su casi individuali, durante un evento critico potenzialmente traumatico e nelle fasi successive.

Il primo soccorso psicologico è organizzato in quattro fasi sequenziali: preparazione, osservazione, ascolto e messa in contatto con i servizi disponibili.

Preparazione: La Responsabilità Costante

Essere preparati è una responsabilità costante di ogni operatrice e operatore. Significa innanzitutto comprendere quale sia il proprio ruolo con le sue responsabilità e i suoi limiti.

È importante essere al corrente delle proprie responsabilità legali e delle procedure dell'organizzazione o istituzione di appartenenza. Ogni organizzazione dovrebbe avere procedure che definiscano i ruoli specifici per la gestione dei casi di persone sopravvissute a violenza.

È responsabilità di ogni operatore essere disponibili nel caso in cui qualcuno chieda aiuto. Ma attenzione: non rientra tra le responsabilità cercare in maniera proattiva persone sopravvissute a violenza di genere o investigare casi sospetti. Questo è fondamentale: non si fa da detective. Si risponde quando qualcuno chiede aiuto, non si va a cercarlo invadendo la privacy altrui.

Essere preparati significa anche essere al corrente dei servizi disponibili a livello nazionale e locale. In caso di emergenza in Italia, è possibile chiamare il 112. Il numero antiviolenza e stalking 1522 è attivo ventiquattro ore su ventiquattro, tutti i giorni dell'anno, accessibile dall'intero territorio nazionale gratuitamente sia da rete fissa che mobile. L'accoglienza è disponibile nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo.

Anche il numero verde antitratta 800290290 è attivo ventiquattro ore su ventiquattro. Il Dipartimento per le Pari Opportunità fornisce una mappatura dei centri antiviolenza del territorio. Refugees Map Services offre una mappatura nazionale di molti servizi rivolti a persone migranti e rifugiate.

Ma non basta conoscere i servizi. Bisogna verificare sempre l'accessibilità anche in relazione a età, lingua, genere e costi prima di proporli. Un servizio teoricamente disponibile ma praticamente inaccessibile non è una risorsa reale.

E infine, essere preparati significa saper gestire le aspettative di ogni persona sopravvissuta riguardo a cosa si possa o non si possa fare per supportarla. Non si possono fare promesse irrealistiche. Non si può garantire che "andrà tutto bene". Si può garantire presenza, ascolto, supporto nei limiti del proprio ruolo.

Conoscere i Propri Valori

Un ultimo aspetto della preparazione, forse il più delicato: essere coscienti dei propri valori personali. Ogni individuo ha valori che sono alla base delle sue convinzioni e che condizionano il suo comportamento. Questi valori influenzano inevitabilmente il modo in cui ci si rapporta con gli altri.

Rendere coscienza dei propri valori e delle proprie convinzioni personali è un processo che dura tutta la vita. Non è qualcosa che si fa una volta e poi è risolto. Richiede riflessione continua, onestà con se stessi, disponibilità a mettere in discussione i propri pregiudizi.

Tutti trasferiscono anche sul lavoro le proprie convinzioni. Ma chi assiste migranti e rifugiati ha il dovere di fornire supporto alle persone sopravvissute indipendentemente da ciò in cui crede, mettendo in pratica i principi guida anche quando entrano in conflitto con i propri valori personali.

Se non si riesce a farlo – se i propri valori impediscono di rispettare le scelte di una persona, o portano a discriminare, o compromettono la sicurezza e la riservatezza – allora è responsabilità professionale riconoscerlo e passare il caso a qualcun altro.

Conclusione: Supportare Senza Danneggiare

Supportare persone sopravvissute alla violenza di genere non è facile. Richiede competenze tecniche, consapevolezza emotiva, riflessione etica costante. Ma soprattutto richiede l'impegno a mettere in pratica, ogni giorno, i quattro principi guida: sicurezza, riservatezza, rispetto e non discriminazione.

Perché l'obiettivo non è solo "aiutare". È aiutare bene, senza arrecare ulteriore danno, rispettando l'autonomia e promuovendo l'empowerment della persona. È ricordare sempre che chi è sopravvissuto alla violenza non è una vittima passiva da salvare, ma una persona con diritti, bisogni, desideri e decisioni che devono rimanere al centro di ogni intervento.

Chi lavora con persone vulnerabili: come si possono mettere in pratica concretamente questi quattro principi nel proprio contesto specifico?

Bibliografia

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