Il Ponte tra Mondi: Il Ruolo Cruciale dei Mediatori Linguistico-Culturali

Una donna racconta di aver subito violenza, ma lo fa in una lingua che l'operatore del servizio non comprende. Un adolescente arriva in commissariato per denunciare un'aggressione, ma le parole per descrivere ciò che è accaduto non esistono nella sua lingua madre con una connotazione neutrale. Un concetto fondamentale per accedere a un diritto viene espresso in italiano, ma non ha equivalente nella cultura di provenienza della persona assistita. In mezzo a tutto questo c'è una figura spesso invisibile ma essenziale: il mediatore o la mediatrice linguistico-culturale. Chi sono queste figure? Cosa fanno esattamente? E perché il loro ruolo è così cruciale quando si lavora con persone migranti e rifugiate, soprattutto quando emerge un vissuto di violenza di genere?

Francesco Gardona

11/22/20258 min leggere

Il Ponte tra Mondi: Il Ruolo Cruciale dei Mediatori Linguistico-Culturali

Una donna racconta di aver subito violenza, ma lo fa in una lingua che l'operatore del servizio non comprende. Un adolescente arriva in commissariato per denunciare un'aggressione, ma le parole per descrivere ciò che è accaduto non esistono nella sua lingua madre con una connotazione neutrale. Un concetto fondamentale per accedere a un diritto viene espresso in italiano, ma non ha equivalente nella cultura di provenienza della persona assistita. In mezzo a tutto questo c'è una figura spesso invisibile ma essenziale: il mediatore o la mediatrice linguistico-culturale.

Chi sono queste figure? Cosa fanno esattamente? E perché il loro ruolo è così cruciale quando si lavora con persone migranti e rifugiate, soprattutto quando emerge un vissuto di violenza di genere?

Più di Semplici Traduttori

Le mediatrici e i mediatori linguistico-culturali (MLC) sono coloro che facilitano la comunicazione tra una persona o un gruppo di persone e gli operatori dei servizi, fornendo anche una spiegazione degli elementi culturali – sia verbali che non verbali – che possono essere fonte di fraintendimenti e barriere tra le parti.

La loro presenza rende più facilmente comprensibili per entrambe le parti gli atteggiamenti, le credenze e i comportamenti culturalmente connotati. Non si limitano a tradurre parole: traducono significati, contestualizzano culturalmente, creano ponti di comprensione.

In molti paesi la figura del mediatore linguistico-culturale non è riconosciuta come figura professionale formale, ma è presente in diverse forme ovunque si lavori con persone migranti e rifugiate e si renda necessario comunicare in lingue che non sono studiate nelle scuole per interpreti o nelle università. Lavorano spesso nella propria lingua madre e in altre lingue veicolari, contemporaneamente per diversi servizi e istituzioni: servizi sanitari, tribunali, commissioni territoriali, associazioni che tutelano migranti e rifugiati.

Due Ruoli Complementari

I ruoli principali del mediatore o della mediatrice linguistico-culturale sono essenzialmente due, interconnessi ma distinti.

Il Trialogo: Facilitare la Comunicazione Tra Due Parti

Il primo ruolo è quello di facilitare la comunicazione – in presenza o da remoto – durante visite mediche, sedute psicologiche, colloqui sociali o legali, ma anche nella vita di comunità dei centri di accoglienza e in generale in tutte le interazioni con i servizi necessari.

Questo tipo di comunicazione viene chiamato "trialogo": avviene quando due parti comunicano grazie alla facilitazione e al supporto della mediazione linguistico-culturale. Non è un semplice dialogo a due, ma una conversazione triangolare in cui il mediatore non è un semplice canale passivo ma un facilitatore attivo che assicura che i significati – non solo le parole – attraversino il ponte linguistico e culturale.

Il Dialogo: Collegare Persone e Servizi

L'altro ruolo complementare è quello di collegare le persone o le comunità ai servizi territoriali: accompagnarle ai servizi, assisterle con le procedure di accoglienza e ammissione, svolgere attività di orientamento sui servizi sanitari, sociali e legali, realizzare attività di sensibilizzazione presso le comunità.

D'accordo con il personale medico e infermieristico, possono proporre, ove necessario, interventi di educazione alla salute. In questi casi la comunicazione tra mediatore e persona assistita ha la forma di un "dialogo" diretto, dove queste figure lavorano in maniera autonoma direttamente con la persona assistita.

Ed è proprio durante questi dialoghi – ma anche durante i trialoghi – che può verificarsi l'emersione di episodi di violenza di genere. Per questo motivo è estremamente importante che mediatrici e mediatori sappiano come gestire la situazione per supportare la persona sopravvissuta nel modo più adeguato.

La Questione dei Conflitti di Interesse

La professionalità della figura del mediatore linguistico-culturale si scontra spesso con una realtà pragmatica: questi professionisti svolgono il loro servizio presso differenti istituzioni, spesso anche contemporaneamente e con ruoli diversi.

Questo dato di fatto pone però alcune questioni di incompatibilità, particolarmente in contesti come le Commissioni Territoriali per la determinazione della protezione internazionale e i Tribunali.

Il codice di condotta delle Commissioni Territoriali richiede che al momento dell'accettazione dell'incarico si sottoscriva un'autodichiarazione circa l'insussistenza di motivi di incompatibilità, e che si comunichi l'insorgere di eventuali situazioni di conflitto di interessi. Il personale non può partecipare ad attività esterne che siano in contrasto o incompatibili con i doveri e le responsabilità inerenti al ruolo ricoperto.

Sulla base di questo, tecnicamente non si potrebbe essere al contempo mediatori culturali di un centro di accoglienza o di un'associazione che offre supporto a richiedenti asilo e rifugiati e interpreti presso la Commissione Territoriale o il Tribunale.

Questa attenzione si ritiene necessaria per evitare che la posizione del mediatore possa essere vista come ambigua e avere ricadute sulla confidenzialità delle informazioni ricevute nelle diverse sedi, e anche rispetto alla percezione del mediatore nella comunità.

Il codice di condotta per mediatori linguistico-culturali ribadisce che ogni professionista deve agire sempre in modo professionale ed etico, evitando azioni o situazioni incoerenti con i propri obblighi professionali. Se ci si trova in una situazione del genere, si deve fare un passo indietro il prima possibile.

Lavorare in Squadra: Riconoscere Ruoli e Responsabilità

Nel lavoro con altre figure professionali, sia il mediatore che l'operatore dei servizi dovrebbero riconoscere reciprocamente i loro ruoli, compiti e competenze specifici, restando chiaro in ogni caso che l'operatore dei servizi è responsabile della gestione del colloquio e del servizio.

Queste situazioni sono variabili e complesse. È molto importante che i mediatori siano consapevoli che le modalità di ingaggio e i comportamenti da adottare possono variare in contesti diversi. Per esempio, nella collaborazione con forze dell'ordine o in ambito giuridico può essere chiesto loro di effettuare esclusivamente un'interpretazione letterale e di essere più sintetici e rapidi nella mediazione.

È necessario che comprendano lo scopo e i limiti dei due ruoli diversi che ricoprono e che sappiano passare da un contesto all'altro. È altrettanto importante che sappiano a chi indirizzarsi in caso avessero bisogno di supporto o chiarezza.

Un buon lavoro di squadra con gli altri professionisti è vitale per dare un supporto adeguato a persone rifugiate e migranti assistite. E un lavoro di squadra ben organizzato è di sostegno a ogni membro dell'equipe nel lavoro quotidiano, in particolare nelle situazioni di stress e di rischio.

È buona norma, nei luoghi di lavoro condivisi, confrontarsi con gli operatori prima e dopo le consultazioni o i colloqui per chiarire la direzione e gli obiettivi comuni e definire le regole di collaborazione. Fare riunioni periodiche per discutere con il resto del team tutti gli aspetti di un caso complesso in cui c'è bisogno del contributo di diverse professionalità, avendo sempre cura di mantenere la riservatezza delle persone assistite.

Quando le Visioni Personali Incontrano i Diritti Umani

Si consideri questo scenario: una giovane donna appena maggiorenne, fuggita con la madre e la sorella minore da un paese in conflitto, si trova in un centro di accoglienza in Italia. Frequenta l'ultimo anno di scuola superiore, ama ballare e sta cercando di integrarsi. Una sera esce con le compagne di classe per andare a ballare.

Tornando a casa a piedi, si accorge che un giovane che era nel locale la sta seguendo. Prima che possa raggiungere il portone, lui la spinge contro il muro tentando di baciarla. Per fortuna passa una macchina in quel momento, lei urla, lui si spaventa e scappa.

La ragazza entra nel centro di accoglienza agitata e spaventata e incrocia un mediatore in uscita. Gli racconta cosa è successo. Lui le dice, in modo gentile e affettuoso, che è molto dispiaciuto per la sua esperienza e le consiglia, per il suo bene, di restare a casa la sera e di non vestirsi come le ragazze italiane per non dare una brutta impressione.

Il giorno dopo la ragazza racconta l'accaduto alla responsabile del centro, che le spiega la possibilità di presentare denuncia e le offre di accompagnarla in commissariato.

Cosa è andato storto in questo scenario? Il mediatore ha violato un principio fondamentale: ha lasciato che le proprie visioni personali – probabilmente radicate nella sua cultura di provenienza – diventassero barriere all'esercizio dei diritti della persona assistita.

È importante che mediatrici e mediatori siano consapevoli che alcune delle proprie prospettive, visioni e convinzioni personali possano – consciamente o meno – non essere allineate alla parità di genere o alle norme sociali che promuovono i diritti umani di donne, ragazze, minori nelle loro caratteristiche individuali.

Per questo è importante lavorare su queste prospettive, visioni e convinzioni personali anche durante l'esecuzione delle proprie attività professionali, per promuovere sempre atteggiamenti e comportamenti nel pieno rispetto dei diritti umani riconosciuti e sanciti a livello internazionale come fondamentali ed essenziali.

Nel lavoro quotidiano, mediatrici e mediatori possono trovarsi di fronte a persone portatrici di caratteristiche diverse o contrarie alle loro visioni personali: per motivi religiosi, legati all'orientamento sessuale, al credo politico, all'etnia, all'identità di genere, all'età, all'abbigliamento.

In questi casi, le visioni personali non devono diventare barriere all'accesso ai servizi. È necessario riconoscere e lavorare sulle proprie visioni per assicurarsi che non siano di ostacolo allo svolgimento del ruolo e alla possibilità della persona assistita di sentirsi supportata e a proprio agio nel pieno rispetto dell'esercizio dei propri diritti fondamentali.

Se questo non fosse possibile, è importante lasciare spazio a un altro mediatore che possa garantire una presa in carico imparziale e in pieno rispetto dei diritti umani in ogni circostanza.

Strategie di Comunicazione Efficace

La competenza principale del mediatore linguistico-culturale è quella di veicolare la comunicazione nel modo più corretto ed esaustivo, favorendo l'instaurarsi di un rapporto di fiducia che garantisca sicurezza e sostegno tra operatori e persone assistite, e tra questi e le persone sopravvissute a violenza.

Per questo è importante utilizzare strategie di comunicazione specifiche: seguire il ritmo del flusso del racconto della persona assistita, utilizzare un linguaggio semplice, rispettoso e appropriato, restare in silenzio quando opportuno, convalidare i sentimenti espressi, utilizzare frasi di supporto, adottare la modalità dell'ascolto attivo.

Anche la cura del setting è fondamentale: evitare spazi affollati e ristretti, rumore, fretta – tutti elementi contestuali che possono mettere le persone in una situazione di disagio e diffidenza.

Il Problema delle Parole che Non Esistono

Il metodo di lavoro dei mediatori deve prevedere una cura attenta del linguaggio utilizzato in ognuna delle lingue con le quali si lavora. Perché i vocabolari delle diverse lingue non si sovrappongono perfettamente. Ogni lingua ha i suoi concetti specifici che nascono in contesti particolari, il che significa che alcuni concetti e parole di una lingua possono non esistere in un'altra.

In questi casi, i mediatori devono chiarire la situazione alle parti, lasciando loro la libertà di spiegare alla persona assistita ciò che viene detto dai professionisti, utilizzando esempi pratici che illustrino chiaramente i concetti.

Ma c'è un problema ancora più delicato: quando si tratta di argomenti come l'orientamento sessuale, l'identità di genere, caratteristiche psichiche, fisiche, culturali o religiose specifiche, possono esistere solo parole che hanno una connotazione negativa e discriminatoria.

L'utilizzo di queste parole ha come effetto una possibile reiterazione di un trauma. La persona a cui sono rivolte può sentirsi discriminata e decidere di non accedere ai servizi necessari.

Per questo motivo è molto importante che i mediatori: aggiornino costantemente il loro vocabolario utilizzando dizionari, giornali, riviste, libri, canali satellitari o radio nelle lingue in cui lavorano; utilizzino parafrasi per esprimere concetti che nelle parole correnti di una data lingua possono essere offensive e discriminatorie; studino e facciano formazione per ampliare i propri orizzonti culturali e mettere in discussione opinioni personali che possono essere causa di discriminazione; si confrontino con colleghi sulla modalità più corretta ed efficace di assistere migranti, rifugiati e persone sopravvissute a violenza di genere; condividano le buone prassi.

Conclusione: I Custodi del Ponte

I mediatori linguistico-culturali sono i custodi di un ponte essenziale tra mondi, lingue, culture. Senza di loro, molte persone migranti e rifugiate – e tra queste, molte persone sopravvissute a violenza di genere – non potrebbero accedere ai servizi, far valere i propri diritti, essere comprese nella loro complessità.

Ma questo ponte deve essere costruito e mantenuto con competenza professionale, consapevolezza etica, riflessione costante sui propri pregiudizi e visioni personali. Perché un ponte mal costruito non solo non collega: può far cadere chi cerca di attraversarlo.

E quando si lavora con persone vulnerabili, con chi ha subito violenza, con chi ha già attraversato deserti e mari alla ricerca di sicurezza, quel ponte non può permettersi di crollare.

Per chi lavora nei servizi: come viene valorizzato e supportato il ruolo dei mediatori linguistico-culturali nella propria organizzazione? Vengono forniti loro formazione continua, supervisione, spazi di riflessione sulle sfide etiche che affrontano?

Bibliografia

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