Normalità e Anormalità: Chi Decide Cosa È "Normale"?

Chi stabilisce i confini tra ciò che è normale e ciò che non lo è? Perché certi comportamenti vengono etichettati come "malattie mentali" mentre altri no? Come è possibile che la psichiatria e la psicologia abbiano il potere di definire non solo chi siamo, ma anche chi dovremmo essere? Questo articolo esplora la storia affascinante e inquietante di come le scienze della psiche hanno costruito - e continuano a costruire - i concetti di normalità e anormalità, rivelando quanto questi criteri siano meno "scientifici" e più "culturali" di quanto potremmo pensare.

10/16/20257 min leggere

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Due Secoli di Confini Sfumati

Quando pensiamo alla psichiatria o alla psicologia clinica, immaginiamo discipline scientifiche che studiano oggettivamente la mente umana. La realtà storica è più complessa: queste scienze sono nate e si sono sviluppate in stretta connessione con le esigenze di controllo sociale, condividendo con il sistema giuridico due criteri fondamentali:

  • Il criterio assiologico: la valutazione del "bene" e del "male", cioè quanto i comportamenti si conformano ai valori dominanti

  • Il criterio funzionale: la capacità dell'individuo di adeguarsi alle prescrizioni morali e alle situazioni sociali

In altre parole, ciò che chiamiamo "anormale" non è semplicemente diverso statisticamente, ma è spesso ciò che disturba, che trasgredisce, che non si conforma.

Due Anime delle Scienze della Psiche

Possiamo dividere le discipline psicologiche in due grandi gruppi:

Le Discipline Diagnostiche: Lo Sguardo del Potere

Il primo gruppo - psichiatria, antropologia criminale, psicologia forense - esprime il punto di vista di un osservatore esterno in posizione di potere. Il loro scopo primario, prima ancora della cura, è la difesa sociale. Sono queste discipline ad avere il compito di stabilire chi è normale e chi no, di diagnosticare, di decidere i trattamenti.

È a loro che la società delega il potere di:

  • Definire la realtà normativa

  • Valutare le persone attraverso diagnosi

  • Stabilire o imporre trattamenti

  • Decidere chi può essere considerato responsabile delle proprie azioni

Le Discipline Terapeutiche: Lo Sguardo della Cura

Il secondo gruppo - psicoanalisi e psicoterapie - ha costruito le sue pratiche in funzione dell'osservato e delle sue richieste: ridurre il conflitto, superare problemi interpersonali, eliminare stati mentali indesiderati. Qui il giudizio di normalità o anormalità è meno rilevante: conta il cambiamento della percezione soggettiva della persona.

Dagli anni '60 in poi, questi due mondi si sono spesso ibridati - psichiatrie psicodinamiche, approcci cognitivo-comportamentali - ma la distinzione fondamentale rimane.

Le Radici Ottocentesche: Quando Tutto Divenne "Malattia"

La storia delle scienze diagnostiche della psiche non è la cronaca di una crescita scientifica, ma di una costante rielaborazione dei criteri di giudizio che però mantiene intatti gli assunti di partenza.

Tutto inizia con alienisti oggi dimenticati - Franz Gall con la frenologia, Johann Spurzheim, Bénédict Morel - che cercavano connessioni tra tratti fisici (fisiognomici, antropometrici) e comportamenti considerati anormali. Un programma che, con crescente eclettismo, perdura ancora oggi nella ricerca di relazioni tra tratti psicologici, temperamento, tipo di attaccamento e condotta "deviante".

La Grande Trasformazione: Dalla Colpa alla Malattia

Nel corso dell'Ottocento accade qualcosa di fondamentale: i comportamenti giudicati problematici - follia, crimini, sessualità "periferiche", povertà, vagabondaggio - non vengono più attribuiti alla volontà della persona, ma alla sua individualità degenerata, immatura, ammalata.

Il giudizio di anormalità diventa il mezzo per ricondurre a un "ordine naturale violato" una classe sempre più ampia di trasgressioni umane. Non si è più colpevoli, si è malati. Apparentemente un progresso umanitario, ma con un prezzo nascosto: la perdita di agency, di responsabilità, di voce.

Come scrive Salvini: "Le scienze cliniche della psiche non servono solo a sostenere una definizione morale di normalità, storica e contingente, ma anche a ridefinire rifiuti, conflitti, scarti e ribellioni trasformandoli in afflizioni e patologie neuropsichiatriche."

Il Senso Comune e i Suoi Tranelli

I giudizi su ciò che è normale o anormale non nascono nel vuoto. Seguono logiche del senso comune che tutti condividiamo:

  • Semplificazione: ridurre la complessità mediante logiche dualiste (buono/cattivo, sano/malato)

  • Tipizzazione: classificare le persone secondo stereotipi e prototipi

  • Ricerca di conferma: cercare prove che confermino i nostri pregiudizi piuttosto che disconferme

  • Finalità pratica: tutelare gli interessi del gruppo sociale di appartenenza

Un esempio illuminante: il termine "omosessuale" inizia come aggettivo per descrivere un comportamento, diventa sostantivo ("un omosessuale"), e infine carattere costitutivo della persona. Attraverso questo slittamento linguistico, un modo di agire diventa un'identità, una natura.

Il Potere delle Parole: La Reificazione

Quando diamo un nome a qualcosa - "drogato", "isterico", "psicopatico" - quell'etichetta acquista vita propria. Ciò che è nominato sembra esistere indipendentemente dal sistema di valori che lo ha creato. È il processo della reificazione: trasformare costrutti culturali in entità che sembrano naturali, oggettive.

Sul volto dell'individuo giudicato anormale si intersecano non solo i segni della sua eventuale diversità, ma anche quelli del sistema di regole che lo ha etichettato. La persona finisce per conformarsi all'etichetta, in un processo che i sociologi chiamano "devianza secondaria".

Gli Assunti Nascosti della Diagnostica

Quali sono i presupposti che ancora oggi guidano le scienze diagnostiche della psiche? Salvini ne identifica cinque, tutti problematici:

  1. Determinismo psicologico: l'agire umano dipende strettamente da caratteristiche psichiche individuali, espressione di una "natura umana universale"

  2. Sospetto patologico: ogni anormalità apre al sospetto di una condizione degenerativa, una patologia da identificare

  3. Medicalizzazione: comportamenti devianti o moralmente riprovevoli sono assimilabili a malattie; le persone diventano "pazienti"

  4. Irresponsabilità del malato: il soggetto non è responsabile della propria condizione e non può opporvisi, deve essere curato anche contro la sua volontà

  5. Autorità normativa: spetta alle scienze cliniche definire i criteri di normalità e anormalità, sia in termini prescrittivi che proscrittivi

Il Paradosso dei Numeri: Quando Tutti Sono Malati

Un dato inquietante: il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), nella sua quarta edizione, contiene più di 350 categorie diagnostiche. Con un repertorio così ampio, qualsiasi comportamento può essere facilmente etichettato come patologico.

Questo fenomeno rivela un problema fondamentale: la difficoltà di separare ciò che è "diverso" da ciò che è "malato", ciò che è "trasgressivo" da ciò che è "patologico".

Due Tradizioni, Due Visioni

Nella storia recente possiamo identificare due tendenze principali:

Il Continuum Psicologico

La prima, che risale a Jean-Étienne Esquirol (1805), stabilisce un rapporto di analogia tra le passioni che eccedono l'ordinario e una condizione di malattia. È un continuum dal normale all'anormale. Questa linea attraversa Charcot, Janet, Freud e arriva alle moderne psicologie dinamiche, dove - rovesciata la prospettiva - è il normale a essere interpretato come estensione del patologico.

Il Riduzionismo Biologico

La seconda posizione sostiene che le malattie della mente sono malattie del cervello, basandosi sull'ipotesi di una causa neuropatologica dietro ogni anormalità. Dopo alterna fortuna, questa prospettiva ha riacquistato terreno ideologico appoggiandosi ai risultati della psicofarmacologia e delle neuroscienze.

Il problema? Nessuna delle due riesce veramente a "dimostrare" scientificamente le proprie affermazioni con la stessa evidenza delle scienze mediche.

La Soluzione di Griesinger: Classificare Senza Spiegare

Nel 1845, Wilhelm Griesinger trovò una soluzione elegante a un problema spinoso: se non possiamo dimostrare le cause delle malattie mentali, classifichiamo almeno i sintomi!

Legittimò così la nosografia psichiatrica come sistema classificatorio basato sull'evidenza clinica dei quadri sintomatici e non sui meccanismi causali. Liberò la psichiatria dall'onere della prova, ma la vincolò al letto di Procuste delle etichette diagnostiche.

Il risultato? Una confusione in cui si mescolano interpretazioni e spiegazioni, metafore e realtà, ermeneutica e determinismo. Un apparato diagnostico convenzionale che, essendo consensuale tra professionisti, viene assunto come realistico - in somiglianza di un'effettiva diagnosi medica, ma senza le stesse basi empiriche.

I Criteri Intrecciati: Un Puzzle Impossibile

Oggi i professionisti della salute mentale intrecciano criteri eterogenei per definire la normalità:

  • Adattamento sociale, lavorativo, familiare, sessuale

  • Criterio statistico (quanto è frequente/raro il comportamento)

  • Schema diagnostico medico-biologico

  • Valutazione di forma e contenuti del pensiero

  • Rilevanza della devianza sociale e culturale

  • Principio della sofferenza soggettiva

  • Confronto con la "norma" etologica

  • Grado di consapevolezza critica dell'osservato

La discrezionalità e sovrapposizione di questi criteri fa sì che potenzialmente chiunque possa essere sospettato di qualche anormalità.

Nuove Prospettive: Oltre la Diagnosi

Non tutto è perduto. Nelle scienze cliniche contemporanee si affacciano prospettive "postmoderne" - costruttiviste, interazioniste, sociocognitive - che:

  • Non sono interessate al costrutto normale/anormale

  • Hanno un riferimento solo convenzionale al concetto di patologia psichica

  • Spostano l'attenzione dalla diagnosi alla comprensione

  • Valorizzano la voce dell'osservato più che il giudizio dell'osservatore

  • Riportano l'interesse centrato sulla persona e il suo disagio

In questi approcci, il discorso dell'osservatore non sovrasta più la voce dell'osservato. Si tratta di uno spazio di accoglienza dove le molteplici versioni e immagini che l'umano ha di sé possono coesistere senza essere immediatamente etichettate come "patologiche".

Il Paradosso del Perdono

C'è però un paradosso inquietante: questo spostamento verso la "comprensione" può creare nuovi problemi. Quando un pluriomicida viene sospettato di insanità mentale, la sua condizione diventa quella di malato/peccatore. La "redenzione diagnostica" dopo l'"espiazione" lo riconosce come guarito, ma gli effetti della devianza secondaria - il conformarsi all'etichetta - possono coltivare la probabilità di recidiva.

Si continua così a cercare nella causa psicopatologica l'attenuazione della responsabilità e della colpa, rafforzando l'idea che esista un mondo "normale, sano e buono" contrapposto a quello "anormale, malato e cattivo".

La Costruzione dell'Esperto

La valutazione di ciò che è normale o anormale è anche una costruzione del professionista, guidato da:

  • Le credenze, teorie, pratiche e tecniche della sua formazione

  • Le attese culturali, istituzionali e giuridiche cui deve rispondere

  • Gli schemi cognitivi e procedimenti linguistici che plasmano la sua visione della realtà

  • Il fatto che l'osservato non rimane indifferente all'etichetta, ma costruisce la propria identità in modo complementare

Il professionista è chiamato a rispondere a domande per cui spesso non esistono risposte scientifiche adeguate - come la valutazione della "capacità di intendere e volere" o della "pericolosità sociale" - entro vincoli preordinati e fondati su presupposti culturali talvolta decaduti.

Conclusione: Liberarsi dal Paradigma Ottocentesco

Facendo coincidere la normalità psichica con la salute, il giudizio con la diagnosi, il segno con il sintomo, sostituendo la causa all'intenzione e l'individuo alla relazione, le scienze cliniche della psiche si impediscono di imboccare strade alternative.

La domanda finale è provocatoria ma necessaria: possiamo immaginare una psicologia e una psichiatria che rinuncino al potere di definire cosa è normale e cosa non lo è? Che smettano di tradurre ogni differenza in patologia, ogni trasgressione in sintomo, ogni sofferenza in malattia?

La risposta non è semplice. Da un lato, sottrarre questi giudizi alla morale religiosa o al senso comune ha permesso qualcosa di nuovo: uno spazio di comprensione più articolato. Dall'altro, il rischio è che le scienze della psiche continuino a essere strumenti di normalizzazione sociale mascherati da pratiche terapeutiche.

Forse il primo passo è riconoscere onestamente i limiti e i presupposti culturali delle nostre categorie diagnostiche. Ammettere che quando diciamo "disturbo mentale" stiamo facendo, almeno in parte, un giudizio di valore mascherato da linguaggio medico. E che questo giudizio, per quanto ben intenzionato, porta con sé un potere immenso sulle vite delle persone.

Solo riconoscendo questi meccanismi possiamo sperare di costruire pratiche cliniche più rispettose della complessità umana, meno oppressive, più aperte alla molteplicità dei modi di essere al mondo.

Bibliografia

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